Riordino del secondo ciclo: quali competenze? (prima parte)
Profili di uscita, Risultati di apprendimento, Indicazioni nazionali... molto rumore per nulla. Il commento di Maurizio Tiriticco sulla riforma della scuola superiore. In due articoli.
Com’è noto, il cosiddetto riordino del secondo ciclo non è affatto una riforma epocale! Si limita a tagliare ore, discipline e cattedre all’insegna del nulla o, peggio, di una riconferma dell’assoluta intoccabilità di un ordinamento che risale al 1923!
La via che avremmo dovuto seguire, invece, doveva essere un’altra, fondata, a mio vedere, su tre pilastri: 1) un’assoluta chiarezza sulla vision e la mission di un’istruzione secondaria in una società che cambia giorno dopo giorno e che ci propone una nuova dimensione dei saperi e della loro concreta utilizzazione; 2) una precisa indicazione di competenze terminali di cittadinanza, culturali, preprofessionalizzanti eguali per tutti gli studenti, da considerare come valori assoluti e indivisibili; 3) in subordine, una articolazione di percorsi che avrebbero assunto peculiari caratteristiche e finalizzati alla certificazione di competenze specifiche e differenziate per permettere di accedere alle offerte del mondo del lavoro o a studi ulteriori.
Il tutto si sarebbe dovuto costruire in un’ottica che fosse in grado di garantire a ciascuno quel “successo formativo”, di cui all’articolo 1 del Regolamento sull’autonomia, e che deve fondarsi su di un’articolazione di percorsi flessibili, soprattutto in orizzontale: percorsi che si sarebbero potuti realizzare pur tagliando le ore curricolari, ma incrementando il tempo scuola per quelle attività di sostegno, approfondimento, ricerca di cui un sistema di istruzione non può fare a meno.
In merito a quanto detto, occorre rilevare:
sub punto 1 – assenza di qualsiasi riferimento culturale, civile, educativo sulle ragioni del cambiamento e sulle finalità da perseguire. Tale assenza ha condotto all’offerta di un’articolazione di percorsi rigidamente distinti e a scalare, liceale, tecnico e professionale, che non rispondono affatto alle esigenze culturali e preprofessionalizzanti che l’attuale assetto sociale ci rappresenta. Si è di fatto riproposta l’articolazione gentiliana, fondata sulla netta distinzione tra il sapere, come appannaggio di pochi, e il saper fare, come ripiego per molti. E ciò, anche se le ricerche neuroscientifiche e gli studi più recenti in materia educativa ci dicono che occorre, invece, imparare a fare con il cervello e a pensare con le mani, per usare un suggestivo ossimoro;
sub punto 2 – assenza di qualsiasi riferimento al fatto che i cittadini di una società complessa necessitano di conoscenze e competenze civiche, culturali e preprofessionalizzanti largamente comuni, se si debbono confrontare con problematiche assolutamente difficili ed eterogenee. Non è un caso che imparare ad imparare e progettare il proprio futuro sono le prime competenze di cittadinanza che il dm 139/07 propone al termine dell’obbligo di istruzione. E si tratta di competenze che andrebbero implementate nel triennio successivo, qualunque sia il percorso scelto dallo studente;
sub punto 3 – la differenziazione dei percorsi, che in sé avrebbe una sua validità culturale e preprofessionalizzante, qualora si proponessero anche e soprattutto finalità largamente comuni, si limita a riprodurre quelle canne d’organo gentiliane di cui né la cultura né il mondo del lavoro avverte oggi, e ancor più domani, la necessità. In altri termini, si andrà a riprodurre e consolidare quella stratificazione sociale e lavorativa di ieri che già oggi, e ancor più domani, costituisce un limite allo sviluppo intellettuale, economico e sociale dell’intero Paese.
Insomma, il riordino che si attuerà non rinnoverà affatto il nostro sistema di istruzione secondaria, ma si limiterà a consolidare il già noto, se non a peggiorarlo! A meno che l’iniziativa dal basso, utilizzando tutti gli spazi che l’autonomia concede agli istituti di istruzione e ai nostri insegnanti, non riesca ad avere la meglio. Si aprirà un braccio di ferro tra la conservazione imposta dall’alto e l’innovazione proposta dal basso; il che già si sta verificando, come testimoniato egregiamente dall’iniziativa fiorentina di Education 2.0.
In tale situazione di precarietà normativa, va sottolineato con forza che la svolta verso le competenze è ancora lontana. Il primo elemento di confusione nasce dal fatto che non si evince perché si siano adottati tre documenti, i Profili di uscita, i Risultati di apprendimento, le Indicazioni nazionali, senza che si evinca quale sia la “filosofia” che li accomuna e quali siano le differenze.
Prima di procedere nell’analisi, è opportuno ricordare che, con il novellato articolo cost. 117, lo Stato, in materia di istruzione, deve limitarsi a definire le cosiddette norme generali, in quanto spetta poi all’autonomia delle istituzioni scolastiche realizzarle, per quanto concerne lo sviluppo dei curricoli, e ad altri soggetti istituzionali del territorio sostenerle, in ordine a competenze programmatorie a loro trasferite dal potere centrale. In ordine a tale innovazione costituzionale, le norme generali dovrebbero definire a) gli ordinamenti, b) le competenze che devono essere raggiunte dagli studenti al termine dei diversi ordini e gradi di studio (l’area dell’apprendere), c) i contenuti mono- e pluri-disciplinari (l’area dell’insegnare). Tali scelte consentirebbero che i diritti civili e sociali in materia di istruzione e di erogazione del servizio siano garantiti a tutti i cittadini sull’intero territorio nazionale.
Ne consegue che, in ordine all’innovazione costituzionale, il Miur non può più elaborare i dettagliati programmi ministeriali di un tempo, ma semplici indicazioni, proprio perché la sua competenza è estremamente ridotta rispetto a quella che aveva prima del 2001. Nonostante tutto questo, ci troviamo di fronte a una vera e propria cascata di norme e relativi allegati che non solo tolgono spazio all’autonomia delle scuole, ma rischiano di vanificarla. Vediamo nel dettaglio le norme generali predisposte dal Miur.
In primo luogo va sottolineato che i tre regolamenti obbediscono a due logiche diverse: quello dei licei è schiacciato sul dlgs 226/05 (ambito Moratti), quelli dei tecnici e dei professionali provengono da quanto indicato dall’articolo 13 della legge 40/07 (ambito Prodi-Fioroni, fatto proprio dalla Gelmini). Da ciò discende che il primo regolamento costruisce un liceo totalmente centrato sulle conoscenze, mentre gli altri due centrano l’attenzione sulle competenze, anche se descritte con una discutibile assunzione teorica. Seguono cinque tipologie di allegati, di cui due sono coerenti con l’impostazione assunta con i regolamenti: sono i Quadri orario e le Tabelle di confluenza; gli altre tre lasciano molto a desiderare.
(Continua)
Maurizio Tiriticco